Cosa si intende con Work Life Balance? E a che punto siamo in Europa e in Italia?
Con il termine work life balance, di origine inglese, si intende letteralmente l’equilibrio tra la vita privata e il lavoro ovvero la capacità di far convivere in maniera pacifica la sfera professionale e quella privata. Si tratta in realtà di un concetto molto ampio, nato per la prima volta negli anni Settanta in Gran Bretagna, ma divenuto di strettissima attualità soprattutto nell’ultimo periodo, in cui lo sviluppo tecnologico ha reso sempre più labile e sfocato il confine tra vita e lavoro, sia per quanto riguarda i tempi sia per gli spazi fisici del lavoro. Una recente ricerca sulla tematica, effettuata da Randstad, ha evidenziato che il Work Life Balance è uno degli aspetti più influenti nella scelta del datore di lavoro per i dipendenti e che vi è un gap significativo tra le aspettative e quella che -invece- è la realtà. Pare, comunque, che l’Italia in realtà si classifichi solo seconda in Europa (tra i migliori Paesi per Work Life Balance) e che, dunque, gli Italiani riescano a lavorare senza rinunciare alle proprie passioni, ai propri interessi, e alla vita privata.
In Italia l’equilibrio tra vita privata e vita lavorativa resta al primo posto come importanza nel 53% dei casi anche considerando i soli stayers, ovvero i dipendenti che non hanno cambiato datore di lavoro nell’ultimo anno. La percentuale scende al 51% ma resta maggioritaria anche per quanto riguarda gli switchers, coloro che invece hanno cambiato azienda nell’ultimo anno.
Stesso discorso pure per gli intenders (coloro che pur non avendo cambiato lavoro hanno intenzione di farlo nei prossimi 12 mesi): nel 54% dei casi valutano il work life balance come fattore più importante nella scelta di una azienda.
Secondo i dati resi noti dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro nel 2016, le dimissioni e le risoluzioni consensuali hanno riguardato in larga parte lavoratrici madri: 27.443 con una percentuale pari al 79% dei casi a livello Nazionale. Tali dati debbono essere analizzati in correlazione con le percentuali di natalità rese note dall’ISTAT che, di fatto, conferma il fenomeno della denatalità presente nel nostro Paese. Nel 2020 -secondo i dati provvisori riferiti al periodo gennaio/agosto 2020- le nascite sono già oltre 6.400 in meno rispetto allo stesso periodo del 2019.
A tal proposito, sarebbe opportuno valorizzare lo smart working come strumento per evitare l’abbandono del posto di lavoro da parte delle donne. Introdotto in Italia mediante la legge n. 81/2017, lo smart working si pone come uno strumento innovativo alternativo al telelavoro, caratterizzandosi per minore rigidità normativa e maggiori potenzialità. Il lavoratore in smart working ha la possibilità di conciliare più facilmente i tempi di vita (casa, figli, etc..) con quelli del lavoro mentre il datore di lavoro ne trae vantaggio in termini di produttività e di riduzione dei costi. Tuttavia, essendosi sviluppato solo recentemente, lo smart working dovrà essere certamente maggiormente regolarizzato in futuro in quanto si evidenzia che il 71% dei lavoratori Italiani risulta sempre connesso ovvero risponde a e-mail, telefonate, messaggi di lavoro anche al di fuori degli orari di ufficio. Ma vivere “Always on” ovvero non staccare mai del tutto senza delineare un confine vero e proprio tra lavoro e vita privata, comporta molto stress, e non è per nulla salutare dal punto di vista psicofisico!